Di Gabriel Harmetz
Negli Stati Uniti, la laurea è una cerimonia solenne fatta di discorsi ufficiali, toga e tocco, e lancio del cappello. In Italia, invece, la laurea è tutto fuorché solenne. È un mix travolgente di rito accademico, tradizione antica e pura goliardia —con corone d’alloro, brindisi a base di prosecco e una buona dose di umiliazione (affettuosa).
Il simbolo più iconico è la corona d’alloro, intrecciata con foglie fresche e indossata da ogni neolaureato—dottore o dottoressa—dopo aver discusso con successo la propria tesi. L’usanza risale all’antica Grecia e a Roma, dove l’alloro era simbolo di vittoria e intelletto. Oggi le corone sono spesso decorate con nastri rossi, bacche e ciondoli che richiamano la facoltà. Alcuni amici staccano una foglia come portafortuna, sperando accorci così la strada verso la propria laurea.
Il percorso accademico non è affatto una passeggiata. Gli studenti italiani devono discutere oralmente la tesi di laurea davanti a una commissione—spesso con amici e parenti tra il pubblico. È un momento intenso che si conclude con un voto finale su 110 (con 110 e lode come massimo riconoscimento). Dopo la proclamazione ufficiale, iniziano i festeggiamenti… e gli inevitabili scherzi.
Tra le tradizioni più divertenti (e temute) c’è il papiro: un enorme cartellone realizzato in segreto dagli amici, scritto in rima—spesso in dialetto—che racconta episodi imbarazzanti, disastri sentimentali e stranezze del laureato. La lettura pubblica del papiro è obbligatoria e si svolge in una piazza affollata, tra risate, interruzioni, e “penitenze”: bere, cantare o travestirsi in modo ridicolo. In molti casi, il papiro viene appeso per la città, per massimizzare la visibilità (e l’imbarazzo).
A Padova e Venezia i papiri tappezzano fiumi e piazze universitarie. A Padova, i laureati devono anche saltare una catena simbolica all’ingresso del Palazzo del Bo, segnando così l’uscita ufficiale dalla vita da studente. A Bologna, la più antica università del mondo, amici e compagni seguono il laureato per le vie del centro, intonando “Dottore! Dottore!” e dandogli calcetti scherzosi lungo il tragitto.
Non mancano neanche i travestimenti: parrucche, costumi da supereroe, pagliacci o improbabili imitazioni dei professori. A volte i laureati vengono cosparsi di farina, uova o schiuma da barba, o sfidati a mangiare aglio crudo, recitare scioglilingua o ballare in mezzo alla folla.
Ogni città ha anche le sue superstizioni legate alla laurea:
- A Bologna, non si deve salire sulla Torre degli Asinelli prima di laurearsi.
- A Napoli, gli studenti di medicina evitano il Cristo Velato.
- Alla Bocconi di Milano, si evita di passare tra i leoni del campus.
- A Pisa, non si visita (né si gira intorno) alla Torre pendente.
Queste tradizioni, ancora vive nelle università storiche come Bologna, Padova e Ca’ Foscari a Venezia, sono molto più di semplici goliardate. Sono un modo unico per celebrare con affetto e ironia il traguardo raggiunto: hai preso la laurea, ma ricorda di non prenderti troppo sul serio.
Rispetto alla coreografia levigata delle cerimonie americane, le lauree italiane sono personali, esagerate, buffe—e assolutamente indimenticabili. Un po’ rito classico, un po’ prova orale, un po’ teatro di strada: impossibile dimenticarle.